"Se non mi ha visto nessuno, io sono davvero qui? E se non sono qui, allora da dove provengono tutti questi sogni, sempre che di sogni veramente si tratti?" (Pynchon)

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domenica 28 marzo 2010

"La morte ci sfida" di Joe R. Lansdale

A Mud Creek, Texas, succedono cose strane.
Una diligenza scompare nel buio della notte, portandosi nel nulla i suoi passeggeri, e una forma mutevole e terrificante si aggira per il piccolo paese seminando morte ed orrore. Toccherà a Jebediah Mercer, reverendo dal grilletto facile in cerca di redenzione, scoprire cosa si nasconde dietro le misteriose sparizioni, fino a svelare il tremendo segreto che avvolge la città e i suoi cittadini.
Eccoci in uno di quei mondi che non possono non solleticare la fantasia di ognuno, il buon vecchio connubio western-horror. A farci da guida è la voce profonda e fredda di Joe Lansdale, non proprio l’ultimo arrivato, anche se il libro può essere considerato un suo scritto di gioventù (è stato pubblicato, infatti, già negli anni ’80 con il titolo Dead in the West). Lansdale mischia horror e western in un romanzo ben riuscito, che anche a detta dell’autore ci riporta in quell’universo da B-Movie in cui gli ingredienti principali sono sangue, sangue e sangue. La penna dell’autore, limpida e inconfondibile, costruisce personaggi e situazioni che colpiscono immediatamente, ci fanno ridere e divertire come solo il suo stile sa fare. Uno stile che i fan conoscono e apprezzano già largamente e che i nuovi lettori che si affacciano allo scrittore Texano troveranno irresistibile.
Horror B-Movie, dicevamo, perché in effetti questo è il fine del libro: intrattenerci per qualche ora (il romanzo supera appena le 200 pagine), con la porta chiusa e un lumicino piccolo che rischiari appena le pagine, a vagare nella città fantasma di Mud Creek insieme a zombie e compagnia bella, durante notti spettrali e condite di rosso. Rimarrà deluso chiunque cerchi in “La morte ci sfida” un libro dalla trama robusta e ben congegnata, perché questo non è, e soprattutto questo non vuole essere. E’ semmai un divertimento tascabile, che allontana lo stress fuori dalla finestra, in ossequio alla tradizione dell’entertaining che gli americani ben conoscono. Sedetevi comodi e apritelo, dateci un’occhiata veloce, così, senza impegno, e di certo verrete catturati dal galoppare delle pagine e dall’irresistibile cinismo dei dialoghi e dei personaggi, ma siate pronti a non puntare troppe fiches sulla trama. Come dice lo stesso Lansdale “questo non è un libro di grandi riflessioni. Più che altro è come i film dell’orrore che guardavi alla televisione la sera tardi”. Prendiamolo così.
Sorge solo un dubbio in merito: l’ha scritto Lansdale, e va bene così. Ma se fosse stato Pinco Pallino a pubblicarlo, saremmo davvero qui a parlarne?

Prezzo 9,90 euro
Editore Fanucci
Data di uscita 28/05/2008
Pagine 192

Recensione a cura di Massimo Piana

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venerdì 19 marzo 2010

Racconti Fantastici del 900 - Autori Vari

Questo libro lo vedi e pensi che sia importante, cioè che abbia un qualche ruolo da protagonista nel panorama librario italiano (io, almeno, ho pensato questo). Non che sia un Meridiano, però salta all'occhio una cura particolare: pur rientrando nella collana Oscar Grandi Classici Mondadori, ha copertina rigida e una qualità della carta decisamente migliore rispetto a quella d’altri volumi della medesima casta. Il titolo e il curatore, l'importante Giuseppe Lippi, si uniscono al quadro e contribuiscono all'impressione. Hai in mano un libro immancabile, quello che si presume sia la raccolta definitiva sul fantastico scritto nel 900, o almeno una delle più importanti.
Cominci a leggerlo; l'introduzione approfondita (anche se forse un po’ troppo arzigogolata e intellettualistica) ti fa capire cosa è il genere fantastico, da dove nasce e perché resiste. Poi affronti i primi racconti e va bene: belle letture, molto gradevoli.
Ed ecco arrivare a Papini, con un racconto su uno scrittorucolo (l'alterego dell'autore) che decide di spacciare una vita vera per un racconto, e così paga il primo cristo qualunque che incontra in strada e si fa raccontare la sua storia, e la storia che leggiamo noi finisce poco più avanti senza nessun risvolto soprannaturale o anche solo "strano". Ed è qui che cominci a pensare: Cosa ci fa questo racconto in questa raccolta sul Fantastico? Eppure Papini ha scritto cose ben più degne: prova ne è la bella storia salvata da Borges nella Antologia della letteratura fantastica. Ma Papini non è l'unico autore fuori posto: ce ne sono ben altri. Persino un romanzo breve di fantapolitica social-satirica.
Il fantastico è un genere antico e ancora vigoroso. Nasce dalle pulsioni interne all'uomo e si prefigge lo scopo di ridisegnare la nostra realtà, di velarla di stranezza e di prodigi. Samsa che si trasforma in insetto, ecco una realtà ridisegnata, una realtà che ci tradisce presentandosi con leggi mutate: chi poteva mai immaginare che un uomo potesse trasformarsi in un scarafaggio? Oppure, chi poteva immaginare che lo scontro eterno tra male e bene, tra Dio e Satana, avvenisse attraverso l'agire d'insetti e batteri? Ma il fantastico è un genere sfaccettato, dalle mille possibilità. Una ghost story è una storia fantastica, perché anche qui c'è qualcosa che sfugge o che si aggiunge alla realtà concreta, qualcosa di esotico e innaturale. Anche la fantascienza, quando agisce sulla natura del nostro mondo, si ammanta di fantastico.
Tuttavia il genere ha dei connotati ben definiti. E' facile capire se ci si trova davanti al genere oppure no. L'opera di Papini non è fantastica: non c'è nulla di valido per ricondurla al genere. Forse simbolicamente, o per metafora, lo scrittore che acquista una storia personale assurge a ruolo di diavolo che circuisce il malcapitato passante per l'anima. Ma vale il simbolo? Vale la metafora? No, e lo suggerisce lo stesso Lippi nell'Introduzione, quando accenna a Il deserto dei Tartari di Buzzati (altro autore incluso qui, ma con una storia breve).
Il romanzo social-satirico di fantapolitica è forse il più accusabile di "ladro di spazio": non solo è lungo (da pag. 291 a pag. 392), ma il suo valore è puramente "documentativo": ha il gusto del colore del tempo e nulla più, come certe foto in bianco e nero, anche anonime. In summa, ecco cosa ci narra: nel settembre del 1950 vengono ritrovate le spoglie di San Pietro, quindi la Chiesa avvia l'anno santo. Ma ciò resta come sfondo, perché la vicenda ci narra in verità della visita segretissima e anonima di Stalin in Italia. Stalin entra da noi in gran segreto, persino senza baffoni, ma (e non si capisce perché) nella basilica di San Pietro fa una scenata e viene arrestato. Lì, nella caserma della polizia, viene riconosciuto da un giornalista americano che del caso fa uno scoop. Inutile dire che in Parlamento succede il finimondo: i comunisti latitano per paure irrazionali e ridicole, il Presidente non sa che pesci pigliare, i democratici sbraitano che si tratta di colpo di stato... E insomma la satira c'è tutta, strappa qualche risata e fa riflettere sulla meschinità dei parlamentari di quel periodo (non che oggi siamo messi meglio). Ma questo non è fantastico: è solo una storia riesumata che ha un'importanza relativa (anche considerando il "giallo" legato al reale autore del testo: per quanto sia firmato ufficialmente da Donato Martucci e Uguccione Ranieri, è possibile che in verità l'autore sia Longanesi). La vicenda, seppure immaginaria, si svolge in una realtà senza incrinature.
Anche Robert Walsen ci viene offerto con un racconto che sfugge al genere. Un ragazzotto felice di vivere incontra nel bosco una bella ragazza e se ne innamora. La ragazza non è un fantasma, non è un'apparizione, non viene da una dimensione parallela né è una fata. E' appunto una ragazza vera, di carne e ossa. In una sola frase, quando viene nominata "figlia della natura", si fa forse cenno a una sua proprietà stregonesca. Ma non è neanche una vera strega, almeno nel senso classico del termine. Dov'è il fantastico? La situazione è fantastica? Forse lo è per il protagonista, ma non per noi, che non viviamo la sua vicenda: bensì vediamo appunto un ragazzo che perde la testa per una donna pura.
Le intenzioni che hanno portato alla nascita di questa raccolta quindi, a discapito di quello che il compratore possa pensare vedendo il libro nella sua materiale bontà, non sono quelle di offrire un "meglio". E' palese, dopo queste scelte improprie. La reale volontà sembra quella di proporre tanti nomi, una ricca abbondanza di autori noti e non. In tal senso si spiegherebbe il ripescaggio peculiare, la proposta originale e sfuggente dal genere. Potremmo allora transigere, venire a patti e accettare la raccolta. Ma anche qui c'è qualche difficoltà, che viene dalla non sempre eccelsa qualità artistica. Alcuni racconti non sono molto interessanti neppure come opere appartenenti ad altri generi. Il nodo K di Valerio Evangelisti è incredibile (nel senso negativo); poteva essere bello come racconto fantastico, ma ha la presunzione di voler essere fantascienza, e questo è un male. La sua non plausibilità lo rende brutto come racconto di fantascienza e, in ogni caso, non adatto a una racconta come la presente che, pur non nascendo da una iperoculatezza di scelta, comprende mostri sacri come Buzzati, Calvino, Borges, Kafka e altri. Di Evangelisti sarebbe stato d'uopo mettere Sepultura, storia con un finale molto più impressionante e senza grosse incertezze di credibilità.
Ma è con August Derleth che assistiamo alla scelta più disastrosa dell'intera antologia. Il signor George, stando all'ammissione dello stesso autore, fu scritto in una sola notte. Dopo averlo letto si capisce, inoltre, che non è stato rivisto nemmeno in un mezzo pomeriggio. Non che ci siano errori o sviste nella trama, ma generalmente dà troppo l'impressione di prima stesura. Parla di una bambina e dell'eredità lasciatale dalla madre; parla dei tre zii di questa bambina che tramano per ucciderla e impossessarsi di quella eredità; e parla di un fantasma, il signor George, che era stato compagno della madre della piccola e che ritorna in forma ectoplasmatica per proteggere la piccola dai tre zii. I tre zii sono la quint'essenza della scontatezza: non hanno un proprio carattere, sono cattivissimi e senza morale. Sono personaggi stereotipati, usati e riusati un'infinità di volte, dalla matrigna cattiva di Biancaneve in poi. Fosse una fiaba, questo racconto, sarebbe una mossa azzeccata; ma non è una fiaba, e risulta brutto. Le descrizioni sono improvvisate, poco chiare: quando una delle zie pensa al modo di uccidere la bimba con un'altalena, non sono riuscito a immaginare perfettamente la scena. E ancora, vera ciliegina sulla torta: nella prima parte la piccola si reca alla tomba del signor George dove vi poggia una letterina; fin qui nulla di male, ma la lettera poco dopo viene raccolta da un poliziotto, portata alla centrale e consegnata a un collega che gli dice: «Passala a Orlo Ward, è il tipo di materiale che gli serve per il New Yorker» Dove sta lo sbaglio: nel fatto che il paragrafo non ha la benché minima importanza ai fini della storia e anzi illude chi legge che più avanti abbia un risvolto importante. Invece, però, questi poliziotti né Orlo Ward e né il giornale ritorneranno in seguito. Questa parte senza dubbio fu inizialmente scritta per dargli un seguito, che però si è perso per via. Per questo Il signor George, sospetto, non è stato rivisto nemmeno parzialmente. Al di là di questi errori, di queste bruttezze o antiestetismi, la storia in sé non ha attrattive degne di nota.
Libro quindi malleabile nelle scelte, caduco a volte nella qualità. Se l'intenzione era la ricchezza di nomi, forse si sarebbe dovuto scegliere meglio fra le opere di certi autori. Tuttavia non lo sto bocciando, anche se forse finora ne ho dato il sospetto. Nel complesso, prendendo quanto di buono offre, alla fine se ne esce soddisfatti. Alcuni nomi li ho già citati sopra; voglio ricordare infine altri: Lovecraft, Leiber, Matheson, Brown, Smith, tutti con storie favolose (in particolare Leiber, che qui scrive non solo di fantastico, ma anche sul fantastico). Tra i ripescaggi notevoli, va ricordato Riccardo Leveghi, forse uno dei più grandi e sottovalutati scrittori italiani di fantastico.



Prezzo: 20 euro
Data di uscita: disponibile
Editore: Mondadori
Pagine: 865 circa

Recensione a cura di Gran Dux Gargaros


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mercoledì 17 marzo 2010

"I prigionieri del centro commerciale" di Piero Forlani

Purtroppo la maggioranza dei lettori, che già sono pochi, a volte snobba le piccole case editrici e gli autori esordienti. E' facile invece scegliere un best-seller, pensando che se ha venduto così tanto non vi deluderà di certo. E invece le persone dovrebbero avere il coraggio di buttarsi sugli autori nuovi o poco conosciuti, perchè può capitare che si scovi un piccolo tesoro come questo: I prigionieri del centro commerciale. Piero Forlani, che ha già pubblicato qualche raccolta di racconti, si cimenta in un nuovo esperimento con un nuovo piccolo, ma intraprendente, editore. Il suo intento è di creare storie spiritose, leggere da léggere, che facciano sorridere ma che nascondano anche delle crude verità.
Esperimento riuscito.
Con il suo libro l'autore ci porta in dei mondi dove tutto ciò che vediamo nasconde un secondo scopo, dove anche le persone più innocue possono rivelarsi subdole, dove i personaggi vengono schiacciati dalla pubblicità e dal consumismo.
Il racconto che da il titolo al libro è una piccola perla. Divertente, originale, ma che fa riflettere. Riflettere sulla società moderna.
E non sono da meno La rivista Letteraria e Millennium Bug, che affrontano il tema delle pubblicità e della tecnologia nel nostro secolo.
Ma il modo di Piero di gestire tutto ciò è il più semplice possibile. Usa uno stile immediato, veloce, senza giri di parole, che incanta e diverte il lettore con battute, con sketch esilaranti, imprevisti e doppi sensi.
E i protagonisti dei racconti sono i più vari. Da persone in carne e ossa a i personaggi dei cartoni animati o delle fiabe. Perchè tutto è buono se usato per fare una metafora della nostra vita, della nostra realtà.
Le tematiche affrontate, nei modi più disparati, sono le più varie. Ma tutte collegate da un filo conduttore, quello del giudizio e dell'osservazione di questa vita che ci circonda, che ci fa rattristare e che l'unico modo che abbiamo per contrastarla è fare un bel sorriso, insieme, magari, a Piero.

Prezzo 12, 00 euro
Data di uscita 03/2010
Editore Senso Inverso
Pagine 105

Recensione a cura di lollo92

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giovedì 11 marzo 2010

"L'incanto del Lotto 49" di Thomas Pynchon

Da un giorno all'altro la vita può cambiare. Da casalinga a esecutrice testamentare. Ecco il destino di Oedipa Maas, che parte subito verso San Narciso. Quel posto dove i ricordi si affollano. Dove i segni del passato non mancano di introdursi nella sua mente. E sembra che tutto cominci sempre com un gioco. All'inizio un piccolo segno. Poi un altro. Sarà un coincidenza ...
Invece la protagonista inizia a cercare, sempre più a fondo, a scoprire sempre di più, entrandoci sempre di più. Ma cosa scopre? Di cosa si tratta?
Cosa è Tristero?
Ovunque si gira ormai trova solo segni. Un corno e una sordina. WASTE.
E tra riflessioni profonde sulla vita che ci avvolge e il mondo che ci circonda, l'autore ci porta a "non-scoprire" questo misterioso mondo.
Perchè alla fine una spiegazione non si trova. Solo nella nostra mente troviamo la risposta. Diversa l'una dall'altra.
Un romanzo particolare. Un'idea di base generalmente semplice ma con Pynchon nulla lo è. Perchè anche l'inidzio più ovvio diventa una incognita. E l'autore controlla tutto ciò perfettamente. E siamo proprio come Oedipa: confusi. La nostra posizione di semplici osservati/lettori non ci avvantaggia rispetto alla protagonista, anzi, a volte sappiamo anche di meno. Ed è anche questo a rendere ancora più coinvolgente il romanzo. Senza contare la scrittura, la tecnica, lo stile. Un po' complesso, intrecciato, aulico a volte, ma adattissimo per i ragionamenti astrusi che fa lo scrittore tramite Oedipa..
Un libro da avere e che sicuramente invoglierà il lettore ad approfondire l'autore, con la speranza di ritrovarsi di nuovo con la testa tra le nuvole, persi in chissà quale ragionamento. Una sensazione spiazzante ma piacevole che Thomas Pynchon in particolare ci riesce a regalare.

Prezzo 11,50 euro
Editore Einaudi
Data di uscita 07/11/2005
Pagine 174

Recensione a cura di lollo92

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