"Se non mi ha visto nessuno, io sono davvero qui? E se non sono qui, allora da dove provengono tutti questi sogni, sempre che di sogni veramente si tratti?" (Pynchon)

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domenica 31 gennaio 2010

"Gli incubi di Hazel" di Leander Deeny

Gli incubi di Hazel, è il primo romanzo dello scrittore Leander Deeny, sin dalle prime pagine si capiscono due cose molto importanti: innanzitutto lo stile dell'autore in questo libro ricorda molto quello dei vecchi Battello a vapore ed i Piccoli Brividi, ovvero uno stile leggero, scorrevole, veloce, adatto ai ragazzi; la seconda cosa che si capisce è che il libro non è propriamente per ragazzi, malgrado lo stile possa trarre in inganno. Questa è una fiaba oscura, nera, cattiva. Dove niente è come sembra e non può che far ricordare i capolavori cinematografici di Tim Burton, proprio per il suo essere una fiaba riesce a trascinare il lettore in un sogno, che può anche non essere sempre piacevole.

Hazel, un'allegra bambina di otto anni, è ospite della terribile zia Eugenia in compagnia del suo antipatico cuginetto Isambard. Basterebbe l'immagine del vecchio maniero dove vivono i parenti di Hazel per spaventare qualsiasi visitatore, eppure, dopo la prima inquietante giornata con zia Eugenia, la vita comincia a cambiare. Isambard, infatti, presenta a Hazel la sua collezione di cuccioli terrificanti: un cane con la testa di legno, un gruppo di paperelle che fumano sigarette nello stagno, due maiali senza zampe... e questo è solo l'inizio! Una notte Hazel decide di esplorare il giardino e, nascosti tra i cespugli, scopre degli strani mostri: il pitospino (un pitone con la testa di porcospino), il gorillopardo (un gorilla con il corpo da ghepardo) e lo struzzorana (una rana con il corpo da struzzo). E' l'inizio di un'incredibile avventura in cui niente è come sembra e la realtà può diventare più stupefacente della fantasia.

La trama è qualcosa a metà tra il già visto e l'innovativo, una scelta piuttosto azzeccata per arrivare allo scopo dello scrittore che è quello di criticare alcuni valori fondamentali della società attuale. Questo romanzo è una piccola perla da non lasciarsi scappare, certo non è perfetto, ma in fondo come primo romanzo va più che bene. Spero di poter leggere altro di questo autore in futuro.

Prezzo 4,90 euro
Editore Newton
Data di uscita 2008
Pagine 204

Recensione a cura di Worthless


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martedì 19 gennaio 2010

"Branchie" di Niccolò Ammaniti

Marco Donati è un giovane romano. Divertimento e sesso nella capitale. Un negozio di acquari e di pesci da gestire. E quando tutto sembra andare per il verso giusto le analisi gli rivelano una disgrazia: è malato di cancro. Di quelli che non ti salvi. Ma a Marco, sinceramente non è che interessa molto. Gli dispiace solo per i suoi pesci. A lui basta sfondarsi di alcool e abbandonarsi sul suo divano, vicino ai suoi amati acquari. Ma la vita gli offre un'altra possibilità: un incarico, lontano, in India.
Parte.
Ma tutto, di nuovo, inizia a precipitare.
E tra nuove conoscenza, tra nuovi amori, nuove esperienze, lotte contro monaci assassini, contro ragazzine viziate, concerti dentro la fogne indiane e strani esperimenti, si arriva alla resa dei conti finali con l'orrendo Subotnik.
Una stora intrecciata e dal ritmo sempre veloce. Scene quasi fantastiche e altre piuttosto piccanti. Skecth divertenti e mai banali. Il romanzo di esordio di Niccolò Ammaniti, stampato nel 1994 con la casa editrice Ediesse, e ristampato nel 1997 con la Einaudi, mette già le basi per quello che sarà lo stile dello scrittore e ci catapulta per la prima volta in uno degli universi creati dal famoso scrittore romano. Non siamo ancora davanti allo stile ben definito di Ammaniti, che troveremo poi in Fango e in Ti prendo e ti porto via, sempre andando a migliore, per poi arrivare a quello definitivo in Come Dio Comanda e Che la festa cominci. Ma la fantasia e la voglia di far divertire, e anche riflettere, le troviamo già pienamente. E il simpatico personaggio Marco Donati sembra quasi lo stesso Ammaniti, con la passione per i pesci (ad Ammaniti mancano 2 esami per laurearsi in Scienze biologiche), i locali di Campo de' Fiori e l'umorismo prettamente romano.

Prezzo 11,00 euro
Editore Einaudi
Data di uscita 1997
Pagine 185

Recensione a cura di lollo92

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lunedì 11 gennaio 2010

"American Gods" di Neil Gaiman

3 anni di prigione non sono piacevoli per nessuno. La prospettiva di tornare a casa dall’amata moglie però può aiutare a sopportare l’attesa…tranne nel caso in cui tua moglie non muoia in un incidente stradale 3 giorni prima che tu esca di prigione.
È in questa situazione che si trova Shadow: dopo 3 anni di galera, per aver quasi ucciso 2 uomini, si trova a non avere più nessuno; tranne uno sconosciuto. Mr Wednesday, un uomo distinto che Shadow incontra su un aereo e che sembra conoscerlo molto bene, gli propone di lavorare per lui, prima che “la tempesta arrivi.”.
Shadow è costretto ad accettare, non sapendo che quell’uomo lo porterà in una lotta senza quartiere tra nuovi dèi e vecchi dèi, oramai in declino.

American Gods è un libro con una trama non convenzionale densa di elementi fantastici, una tipica trama da Neil Gaiman ( Autore, tra l’altro, del fumetto cult The Sandman ) insomma, che dietro un apparato puramente ludico e non impegnativo nasconde riflessioni profonde e situazioni adulte.
Il senso del libro, come si evince sin dalla trama, è l’avvicendamento degli dèi, creati dagli uomini per i loro bisogni, per avere qualcuno a cui affidarsi, qualcuno da temere, qualcuno contro cui puntare il dito se qualcosa va storto, che smettono di essere temuti e onorati non appena l’uomo non trova qualcosa più conforme alle sue nuove esigenze.
Ed è così che, se un tempo gli uomini si affidavano al dio Odino affinché li proteggesse nei loro viaggi verso la sconosciuta America, ora si affidano al dio GPS, abbandonando Odino, e così via.
Il senso del libro, se protratto nel futuro, è terribile: pensando ai vecchi dèi delle varie mitologie ( Che nel libro compaiono tutte, dal pantheon nordico fino al Baron Samedi della religione Voodoo ), tutt’al più ora potremmo farci una risatina, pensando a quanto fossero sciocchi gli antichi che li idolatravano. E ora? Forse che i vari blog, la televisione, Facebook, le macchine, eccetera, non sono nuove rappresentazioni di dèi? E quando troveremo qualcosa di meglio, non ci troveremo con
decine di rottami, dimenticando ciò che fino a ieri per noi era vitale? Sotto questo punto di vista mi sento di consigliare American Gods, un libro con una trama particolarissima e mai convenzionale, scritto estremamente bene, con dei magnifici scorci sulle altre culture e sulle mitologie degli altri popoli, che pecca tuttavia in un unico aspetto: le vicende sembrano non partire mai. Almeno all’inizio ci troveremo a leggere una serie di eventi, e a pensare “E allora? Quando si inizia?”.
Superato questo scoglio ci si troverà di fronte ad un capolavoro della letteratura contemporanea, che dimostra come per riflettere sul presente non ci sia bisogno per forza di crude rappresentazioni della realtà, ma lo si possa fare anche in modo…diverso.

Prezzo 10,50 euro
Editore: Mondadori
Data di uscita 14/04/2003
Pagine: 523

Recensione a cura di Matteo


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mercoledì 6 gennaio 2010

"Nicolas Eymerich, inquisitore" di Valerio Evangelisti

Nel 1994 nacque Nicolas Eymerich. Un inquisitore spagnolo duro e intelligente. Questo è il suo romanzo di esordio e lo è anche per Evangelisti. Dopo aver scritto alcuni saggi storici, Evangelisti è approdato al mondo della letteratura tascabile grazie a questo libro, vincitore dell'Urania, premio che apre le porte per il mondo delle grandi case editrici.
Eymerich non è l'unico personaggio. Nel libro, diviso in tre parti che si intrecciano tra di loro, troviamo anche un giovane che vive nel futuro e un giovane scienziato, Marcus Frullifer, che vive nel presente. Il filo conduttore di queste tre storie sono gli "psitroni" o più comunemente chiamati nel loro insieme, la "Psiche". Sì perchè Frullifer ha scoperto nuovi concetti base per la fisica moderna ed Eymerich sta assistendo a fenomeni che alla sua epoca non sono ancora spiegabili ma che nel futuro saranno ormai di routine.

Se bisogna levarsi il cappello di fronte alla fantasia illimitata e precisa di Valerio Evangelisti, viene da storcere un poco la bocca davanti alla scrittura. Non che non sia buona e dettagliata. Il vero problema è la mancanza di uno stile, di un tocco personale. Per tutto il libro si ha sempre lo stesso ritmo. Un ritmo che non cambia da una descrizione di una paesaggio e il colpo di scena finale. Tutto molto piatto, privo di emozioni. Ecco, il libro fa provare davvero poche emozioni. Se si rimane molto affascinati dalle invenzioni di Frullifer (ideate tutte dalla grande mente di Evangelisti), non ci si innamora mai dei personaggi. E' sì il primo libro di una lunga saga, ma Eymerich rimane ancora molto poco delineato come personaggio e vengono analizzati e ripetuti solo pochi aspetti della sua personalità. Stessa cosa vale per Frullifer, personaggio che a volte sembra furbo, scaltro e divertente e invece altre volte appare impacciato, noioso e imbranato. Non lo si riesce ad inquadrare.
Un romanzo che non lascia molto se non qualche vago ricordo di alcune teorie fisiche un po' troppo surreali, seppur geniali, che non vengono spiegate bene del tutto e che lasciano qualche dubbio.
Evangelisti ha delle idee grandiose. Peccato per la mancanza di una scrittura che afferri il lettore. Soprattutto questa mancanza si sente se non prediligete il genere fantasy.
Un libro particolare, che per gli amanti del genere può essere un piccolo tesoro, data la sua originalità, ma che per gli amanti della bella scrittura, di una scrittura particolare, adrenalinica, prosaica, o quel che vuoi che sia, può risultare lento, piatto e poco interessante.

Prezzo 8,80
Editore Mondadori
Data di uscita 12/04/2004
Pagine 274

Recensione a cura di lollo92

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martedì 5 gennaio 2010

"Il cerchio delle fate" di Antonella Dello Stritto

Una breve introduzione che catapulta il lettore già in un regno di fantasia: a bordo di una piccola nave, di cui sappiamo solo che naviga nei mari del nord, al largo delle coste scozzesi, ma invero diretta non si sa dove né quando, l'io narrante senza nome dopo una tempesta portentosa scopre uno scrigno galleggiare fra le onde, tra le assi e gli oggetti scagliati in mare da navi sconosciute. Una volta aperto lo scrigno (di pregiata fattura), ecco i manoscritti, i cinque manoscritti che costituiranno i racconti veri e propri del libro.

Esistono libri magici che vanno di là dai temi trattati e questo "Il cerchio delle fate" ne è un esempio preciso. Pur nella sua appartenenza al genere fantastico, la magia di quest'opera risiede nello stile. Il suono delle parole ammalia, insuffla nella mente sensazioni vivide eppur sfuggenti: la sonorità blandisce, strega. La prosa scorre via ipnotica. Difficilmente il lettore s'accorge che il tempo passa, e il libro lo chiudi poche ore dopo, finito.

I racconti, come dicevo, sono di genere fantastico. "Il Lai della Strega" narra di una punizione "fatata" inflitta a un uomo che peccava nel sottovalutare e svilire le donne, usandole per scopi indegni ed egoistici.

"Una discesa" invece ci scaraventa in una visione dantesca incredibile e orribile... Ancora una volta si tratta di una sorta di punizione, un ammonimento affinché il protagonista abbandoni una vita fatta di liceità spirituale.

"Un nome di rosa", il terzo racconto, è una delle cose più belle che ho mai letto di un autore - anzi, in questo caso autrice - esordiente. Questo racconto giunge alla più alta qualità delle caratteristiche di sogno e magia del libro, e da solo vale l'acquisto dello stesso. Leggere "Un nome di rosa" è un'esperienza al limite fra sogno e realtà, possibile grazie non solo allo stile e alla scorrevolezza ipnotica della prosa, ma anche per la storia, così altamente allucinata e vaga nelle descrizioni... Protagonista di questo è una donna, ma è difficile tuttavia tracciare la trama omettendo la profonda componente spirituale e psicologica, così amalgamate e inscindibili nella vaghezza del racconto.

"L'uomo della sabbia" è il quarto racconto e ci narra, con credibile trasporto, degli anni universitarii del protagonista e di un evento fantastico in fine. E' questo il racconto forse meno "criptico" del libro in quanto, anche se sorretto come di consueto dallo stile impeccabile e magnetico, gli eventi si susseguono ordinatamente e descritti con abbondanza di particolari. La storia in parte perde, quindi, quella vaghezza di contorni che ha caratterizzato i primi racconti e diventa meno onirica.

Conclude il libro "Le ombre del tempo", che narra di un viaggio temporale di un uomo moderno... E' questo racconto, insieme a "L'uomo della sabbia", una storia tutto sommato "ordinaria", nella sua struttura chiara e precisa, anche se non mancano dei passaggi, delle sequente molto nebulose e "labirintiche"...

Consiglio quindi con la massima sicurezza questa piccola, brillante raccolta. In un panorama librario disastrato come è quello del nostro Paese, esordienti simili andrebbero supportati e seguiti, perché Dello Stritto dimostra già dall'inizio doti affabulatorie prorpie del narratore di razza. Inoltre la qualità artistica è granitica, completa. Una qualità che ha un degno valore e che ognuno di noi dovrebbe far proprio con la lettura.

Prezzo 9,00 euro
Editore Bastogi Editrice Italiana
Data di uscita 2006
Pagine 96

Recensione a cura di Gran Dux Gargaros

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"Che la festa cominci" di Niccolò Ammaniti

Perchè quando si legge un libro di Ammaniti si entra in un universo parallelo. Un universo inventato da questo simpatico e semplice scrittore. Che si è accorto del marcio che c'è nel mondo, in Italia, e lo denuncia col sorriso in faccia, mascherando il tutto con sketch, battute, scene erotiche e il suo solito modo di scrivere molto diretto e asciutto.
C'è una grande festa a Villa Ada.
Gli invitati sono i più vari ma la chiave per entrare è una sola:
appartenere al mondo dello spettacolo. Eppure ci finiscono dentro anche degli aspiranti satanisti, come camerieri naturalmente. Inutile dire che, grazie a loro, la festa non procederà come previsto. E tra tutti i vip ne scoviamo uno in particolare che non si sente a suo agio, uno scrittore, uno che dovrebbe starsene a casa sua ma che ama fin troppo apparire e farsi vedere, pur avendo parecchi dubbi interiori.
Seguendo una trama particolarmente intrecciata, divertente e a volte anche inverosimile (ma ormai lo conosciamo l'inverosimile di Ammaniti, è particolare, è un simil-inverosimile, un verosimile falsato insomma), si affrontano vari temi. Principalmente c'è uno sguardo diretto e accusatorio ai vip, ai Mass-media, all'Italia. Dove ognuno fa come vuole, dove le figure di merda non esistono e se proprio esistono fanno anche bene, dove conta solo l'apparenza e non l'aspetto interiore. Vallettopoli, calciopoli, mafia, prostituzione, scandalo: tutti mischiati insieme.
Questa è l'Italia.
I personaggi di Ammaniti sono come al solito simpatici, divertenti, ben delineati e soprattutto: veri. Perchè ci si rispecchia in loro. Perchè "sono" noi. Stereotipati. "Siamo" loro.
L'unico piccolo neo del libro può risultare l'assenza di un vero apice, la piattezza del ritmo. Certo, ci sono parecchi colpi di scena, ma è come se alcuni di essi fossero prevedibili o comunque
non risaltino rispetto agli altri. Si viaggia sempre sullo stesso ritmo.
Ma se la storia presenta qualche piccolo neo (ma proprio piccolo,
perchè tutto il libro è davvero godibilissimo e non stanca mai, c'è sempre voglia di andare avanti, di leggere, di curiosare e di conoscere meglio la storia e i personaggi) lo stile, la sintassi, la grammatica, la narrazione, non hanno eguali. Ogni frase, ogni parola, ogni virgola sono al loro posto e sembra quasi che il libro non lo si stia leggendo con gli occhi ma con la mente, tanto è diretto e si legge facilmente. L'inconfondibile stile di Ammaniti sottoposto ad un labor limae eccezionale.
Perchè si riesce a vedere ogni scena, a provare ogni emozione. Si è nel libro. Siamo vicino ad Ammaniti mentre lo scriveva. Siamo con i satanisti. Con lo scrittore che vuole apparire. Con i vip. Siamo, invece, ma non sembra, sul nostro divano a leggere col sorriso in faccia, soddisfatti di una lettura così piacevole, non vedendo l'ora di mettere il libro in bella vista nella propria libreria.

Prezzo 18,00 euro
Editore Einaudi
Data di uscita 27/10/2009
Pagine 270

Recensione a cura di lollo92


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"Quando le radici" di Lino Aldani

La cosa che forse colpisce del futuro distopico di Aldani è che l'Italia (e forse tutto il mondo, anche se non ci viene detto) sembra aver perso qualsiasi titpo d'identità. Non solo l'identità naturale, bestiale della nostra essenza (la gente qui vive qusi tutta nelle città ormai diventate megalopoli, e solo pochi "trogloditi" continuano imperterriti ad abitarne fuori, in casupole sgarruppate senza neanche più l'elettricità), ma anche quella politica. Ne è un esempio a pagina 81, quando il protagonista fa una domanda a un politico:

Arno montò su tutte le furie. Con acrimonia: - Fammi il piacere - disse con voce sprezzante. - Viviamo nel casino più completo, in piena Babilonia. Prova a rispondere a questa domanda: che forma di governo abbiamo? Siamo un paese capitalista o socialista?


Il Politico, ovviamente, resta muto. E' questo perdita di ogni chiarezza identificativa che fa perdere la testa a chi ancora ha la capacità di pensare. Gli altri sono sedati da questa condizione senza basi, magari facendosi aiutare dalle droghe ormai legalizzate, o dal sesso che non ha più tabù frenanti.

Non così chi ha ancora la capacità di vederesi dentro, nella piena lucidità, e trovarvi il vuoto più triste. Non per niente i suicidi non sono infrequenti, persone che sbroccano e si buttano giù dai palazzi, perché è l'unico modo per porre fine, per fuggire da quella condizione che non è più umano.

Non è il caso di Arno, che, non potendo cambiare il mondo, può almeno afferrare delle radici concrete con cui rinsaldarsi nella terra, con cui ritornare se stesso, forte di un'identità ben precisa. Per questo molla tutto, il lavoro odioso e letteralmente inutile (un altro sedativo per tenere buoni), il sesso disponibile, e decide di ritornare al posto della sua infanzia, per lui unico angolo di paradiso ancora non sepolto dal cemento di autostrade inarrestabili.

Vicenda umana piccola, isnignificante, ma dal messaggio potente, quindi. Tutto impreziosito da uno stile, da una scrittura di alta qualità che non fa sfigurare l'accostamento ad autori come Pavese.


Prezzo 5,50 (in Italia)
Mondadori (Urania Collezione)
Data di uscita: disponibile, da richiedere all'Ufficio Arretrati
Pagine 250

Recensione a cura di Gran Dux Gargaros.

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"Avorio" di Matteo Gambaro

Che mondo è questo, dove nemmeno i vampiri sono al sicuro?

Questo librettino, di appena un centinaio di pagine e tascabile (per quanto la carta è di qualità eccellente e la copertina ha dei risvolti), mi ha davvero meravigliato. Mi ha meravigliato per la costruzione, mi ha meravigliato per la bontà della scrittura e delle situazioni, certo non sempre originalissime, ma in ogni caso capaci di risaltare sulla banalità di racconti di altri autori. La costruzione: il libro sembra una raccolta di quattro racconti, di cui uno (Il Borgo) copre metà delle pagine; in verità di storia in storia ci accorgeremo che, malgrado ad accomunarli possa bastare il personaggio principale (l'investigatore "speciale" Carnielli), il loro intrecciarsi è molto più concreto e profondo. Alla fine scopriremo d'aver assistito a una sola storia, frammentata ma tuttavia compatta: quello che abbiamo concluso è un romanzo vero e proprio, dalla costruzione interessante e molto ben curata.

Si parlava di situazioni degne di nota. Non voglio spoilerare troppo, ma devo dire che alcuni spunti sulla ormai inflazionata e banalizzata figura del vampiro sono senza dubbio inediti. Il Borgo è un pezzo d'arte nell'invertire i ruoli di bene e male, di luce e tenebra. Comincia con Carnielli che, con un giovane e inesperto collega, è appostato di notte nella strada di una città non meglio definita; e, per ammazzare il tedio dell'attesa, decide di raccontare la storia peggiore a cui ha assistito. Da qui il punto di vista si sposta a quello che è scritto in un diario, trovato in quella situazione culmine, e seguiamo la storia dall'io narrante autore del diario. In effetti Il Borgo è una storia nella storia. Ma se già questo "cadere" in varie narrazioni contribuisce a straniare il lettore, figuriamoci quando cominciano le descrizioni particolareggiate del luogo degli eventi: un paesino di appena cento anime bombardato da un sole innaturale, soffocato da un caldo da inferno. Il racconto è molto surreale, non solo per l'atmosfera afosa, ma anche per la pittoresca descrizione del borgo, con queste case fatte di legno ("mi sembrò d'essere in un film di Sergio Leone" si legge nel diario dell'oscuro redattore), per l'assenza di abitanti durante il giorno, per la regione brulla, arroventata dal sole, che circonda quello sparuto gruppo di case. Non privo di qualche ingenuità (come la presenza di una locanda in un luogo isolato e piccolo come quello, per esempio), Il Borgo è un racconto molto profondo e complesso. Come dicevo, qui i ruoli s'invertono in modo notevole: così, la luce del giorno, inizialmento infernale, diventa in seguito manifestazione divina, per poi scoprire che non ci sono affatto orrori notturni da combattere, e quindi ritorna al suo originario significato; mentre i mostri notturni altro non sono che la manifestazione di una follia omicida e fanatica scatenata dal sole, dal caldo... Notevole anche come Gambaro non dica mai a chari lettere il tipo d'orrore a cui l'autore del diario crede di trovarsi di fronte, facendo procedere la lettura con rimandi vaghi e allusioni sempre dosate con coscienza, facendo crescere una tensione strisciante e irrequieta.

In Avorio (il racconto brevissimo che dà il titolo al libro) c'è un ridimensionamento dei poteri vampiresci (o della temerarietà umana): qui il vampiro diventa una bizzara vittima da bracconaggio, e nonostante alla fine riesce a vendicarsi, non possiamo biasimare un collega di Carnielli quando dice che quelle creature gli fanno quasi pena. Il vampiro qui, benché ancora pericolosissimo, terribile e dai poteri invincibili, è visto sotto una luce più realistica: l'uomo, se esistessero dei veri vampiri (e del genre descritti qui), potrebbe comportarsi proprio a questo modo. C'è molto realismo, la storiella ha una credibilità granitica.

In Aspettando il figlio l'interesse deriva dal diverso punto di vista con cui viene vissuta la vicenda: quello di una madre che assiste alla maledizione del figlio, ritornato vampiro da una vacanza europea con alcuni amici. Il ragazzo esce di sera e ritorna di giorno, appare pallido, cadaverico, inoltre ha con la madre un comportamento scostante. Fa davvero pena vedere questa donna soffrire; Gambaro riesce a tessere una trama di dolore morale con poche parole e poche pagine, in una essenzialità perfetta.

L'anello, ultimo racconto, ha la funzione di chiusura dell'intero libro: qui i fili sparsi nelle precedenti storie vengono presi e legati. In effetti, il titolo è geniale nella sua semplicità, facendo riferimento non solo all'oggetto che avrà nell'ultima vicenda un ruolo chiave, ma anche alla circolarità del libro: con quest'ultima storia ritorniamo infatti all'inizio, a quella notte in cui Carnielli era appostato in una stradina di una città non meglio definita, e per ammazzare il tedio dell'attesa decide di raccontare una storia...

In conclusione, siamo di fronte senza dubbio a un bel libretto e una buona lettura, e perciò non posso che consigliarne a tutti l'acquisto. Tra l'altro, il libro è impreziosito da cinque bei disegni di Luca Armerio, Monica Venzo, Darinka Mignatta e Federico Fiorenzani.

Prezzo 7,90 euro
Editore: Istorica Edizioni
Data di uscita 2009
Pagine 103

Recensione a cura di Gran Dux Gargaros

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venerdì 1 gennaio 2010

Buon 2010!


Il blog "Recensioni di libri" auguri a tutti voi, lettori e non, un felice e sereno e prospero 2010!



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